Nello spazio Vision in Motion sono arrivate le opere di Valerio Bellati!
La seduzione del neutro
La luce, grande protagonista delle opere di Bellati, affiora attraverso stratificazioni tendenzialmente monocrome, di ascendenza innegabilmente veneta.
Solo in un gruppo limitato di lavori l’artista sembra raccogliere le energie e saggiare la consistenza del gesto perentorio e assertivo, del segno singolo e deciso, che si presenta in tal caso come un enigmatico calligramma orientale.
Cielo e terra, elementi costituitivi di una cosmologia essenziale, risultano protagonisti di questa pittura, ma sempre alternativi tra loro e tematizzati uno alla volta, quasi che la loro compresenza e polarità possano introdurre una tensione eccessiva, una dinamica da cui si vuole distogliere lo sguardo.
I residui delle strutturazioni si sciolgono in una trama imprevedibile di segni. Inizia una proliferazione di texture create da ripetuti tocchi di pennello o da segni grafici, prevalentemente minuscoli ma a volte di un certo spessore, variati in modi sempre diversi, che pervadono tele minuziosamente lavorate. (Testo di Corrado Castellani)
L’occasione soccorre spesso, nelle sue parole, Valerio Bellati: ora è una ciotola di bianco a suggerirgli l’uso di quel colore, ora è il gesto libero e irruente che arriva dopo ore di attesa, poiché anche il gesto ha una certa importanza, così come altre suggestioni arrivano a lui da sperimentalismi diversi, ora il graffio, la scalfitura, l’abrasione, ora piuttosto l’amore per il sacco od altro supporto, altrimenti è un colore (grigi argentei, neri rugosi, mezze tinte imprecisabili) che nasce da misture trovate quasi accidentalmente, ma dopo ore di ricerche, come fosse un alchimista, a catturarlo ed incantarlo. Cosicchè si scopre presto, contemplando le opere, che Bellati idea e svolge come fossero testi musicali i suoi dipinti e cioè con la massima concentrazione, con la libertà massima che segue l’aver pensato, in dettaglio, ogni elemento del quadro e possedendo poi il proprio “fare” senza inibizioni o reticenze. Insomma, il Bellati che crea questa nuova scrittura originalmente sospesa tra segno e colore, tra iterazione d’una segreta grammatica (rigorosamente costruita negli anni e che è la sua grammatica formale) e massima libertà gestuale e formale e folgorante invenzione di colori e forme, ovvero che oscilla felicemente tra colore e segno come pochissimi altri artisti europei hanno saputo fare (Wols forse), mi dice che egli ha raggiunto la libertà estrema che consente all’artista, come qualcuno ha scritto, la pienezza dell’abbandono, la felicità dell’atto creativo catartico, dell’identità vissuta senza inceppi fra sé e il proprio dipingere. Trovo che hanno avuto ragione di dire che la sua pittura è pittura autobiografica. Posso a ciò aggiungere una minima ulteriore suggestione: mi pare di cogliere un singolare incontro tra Occidente ed Oriente, nel segno, nella gestualità, ma soprattutto nella strategia del colore e della materia sempre vibrante ed inquieta, mobile, nello spazio senza confini. Ed è un incontro se non unico, davvero raro e prezioso.
(Testo di Hsiao Chin)